Quando è necessario utilizzare un accesso vascolare venoso?

Quando è necessario utilizzare un accesso vascolare venoso?

A cura di Dott. Maurizio Alberto Gallieni, Professore Associato di Nefrologia presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 2018 Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, indicizzate sul database PubMed della National Library of Medicine. Membro di diverse Società Scientifiche anche con incarichi di coordinamento e Redattore per Riviste italiane ed estere di Nefrologia.

 

Prima di parlare di dialisi bisogna sapere che questa terapia necessita dell’apertura di un accesso vascolare venoso per effettuare il trattamento. Come spiega bene il Prof. Gallieni in questo contributo, non solo per chi effettua l’emodialisi si parla di accesso vascolare venoso, ma ci sono diverse patologie che richiedono un accesso vascolare venoso e diversi sono i tipi di accesso possibili, in base alla malattia da trattare. Punti delicati, questi, a causa dell’alta possibilità di infezione, assolutamente da non sottovalutare.

 

Sono diverse le patologie che determinano la necessità di un accesso venoso periferico o centrale per il loro trattamento. Ad esempio l’infusione di antibiotici in caso di infezioni non curabili con antibiotici somministrati tramite altre vie, la chemioterapia dei tumori, che richiede in genere un catetere venoso centrale, la nutrizione parenterale, molte delle terapie effettuate nei reparti di terapia intensiva; le terapie depurative extracorporee acute e croniche, tra cui l’emodialisi, attualmente praticata a circa 42.000 pazienti in Italia. Nei pazienti sottoposti a emodialisi l’accesso di prima scelta è arterovenoso, ovvero una fistola o una protesi vascolare, che ha il vantaggio di poter essere utilizzato inserendo degli aghi che vengono rimossi alla fine di ogni trattamento.

In circa il 30% dei pazienti però la dialisi viene effettuata con un catetere venoso centrale (CVC). Tuttavia, se da un lato gli accessi venosi sono indispensabili per la cura di molte patologie d’altra parte le possibili complicazioni di questo prezioso strumento sono significative e potenzialmente pericolose. Tra queste complicazioni le principali sono le infezioni e la trombosi.

Accessi vascolari venosi: quali sono e quale scegliere?

Ci sono molte tipologie di accessi vascolari venosi. La scelta dell’accesso dipende dalla patologia che richiede il suo inserimento.

Una prima importante distinzione deve essere fatta tra accessi vascolari periferici ed accessi vascolari centrali.

Le cannule venose utilizzate per gli accessi periferici possono determinare delle infezioni locali, dette flebiti che, in alcuni casi, possono diventare delle infezioni sistemiche anche gravi. L’ingresso di batteri attraverso un accesso vascolare di tipo centrale determina spesso una batteriemia che può complicarsi in un’infezione sistemica o setticemia.  I CVC, o cateteri venosi centrali, hanno delle caratteristiche diverse a seconda del loro impiego. Per esempio, in ambito oncologico, non sono richiesti rilevanti flussi ematici in aspirazione tranne che per eseguire prelievi ematici, mentre è molto importante un accesso vascolare che consenta la somministrazione dei chemioterapici in una vena centrale, per evitare la tossicità del farmaco sulla parete venosa periferica. I cateteri totalmente impiantati, detti PORT sono molto utilizzati quando sono necessarie delle terapie prolungate perché hanno il grande vantaggio di ridurre le infezioni.

Nei pazienti in emodialisi, invece, sono necessari dei flussi ematici più elevati e i cateteri totalmente impiantabili non hanno avuto lo stesso successo. I CVC per la dialisi sono impiantati con una metodica percutanea ed hanno un punto di uscita cutaneo (exit-site) che può essere in prossimità dell’ingresso del catetere in vena, cioè nel punto di inserimento del CVC, oppure un exit-site più lontano dal punto di inserimento in vena del CVC, predisposto grazie alla creazione di un tragitto o tunnel sottocutaneo. La vicinanza o meno dal punto dell’exit-site distingue i cateteri venosi centrali in CVC tunnellizzati o non tunnellizzati.

Dato che spesso i CVC tunnellizzati vengono utilizzati per mesi o anni, è diffusa anche la distinzione dei CVC in “permanenti” o “temporanei”.

Questa denominazione, tuttavia, è fuorviante perché il tempo di utilizzo dei CVC dovrebbe essere il più breve possibile, e anche i CVC tunnellizzati possono essere temporanei, fino all’allestimento di un accesso arterovenoso a meno che quest’ultimo sia controindicato o non fattibile.

Infine esistono anche dei cateteri centrali ad inserimento periferico utilizzati fuori dall’ambito della dialisi chiamati PICC, Peripherally Inserted Central Catheters, che possono essere inseriti con metodica eco-guidata da personale infermieristico.

Indipendentemente dal tipo di accesso, tutti gli accessi venosi percutanei, periferici e centrali, richiedono l’esecuzione di medicazioni periodiche che proteggano l’accesso da infezioni locali o sistemiche.

 

 

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